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Quando il formaggio lo fanno le donne

Munito di tutti gli orpelli previsti in tempo di Covid 19 decido di seguire il consiglio dell’amico Luca De Franceschi, esperto maître fromager, e “diavolo tentatore” nel senso gastronomico della definizione, così in un’assolata e fredda giornata di gennaio mi metto in viaggio per raggiungere Belvedere di Villaga, una piccolissima frazione alle pendici dei Colli Berici dove opera un piccolo caseificio, Sapori di Montegnago,  totalmente declinato al femminile.
Michela Maran, Anna Trento ed Elisa Marini, socie fondatrici, sono anche le casare ognuna con una sua storia, ed un suo vissuto, ognuna con un apporto specifico e sentire le loro storie che includono affascinanti esperienze di pastorizia e di caseificazione maturate in ambiti diversi ma con un comune denominatore una passione incredibile che traspare in uno story telling fatto mentre nella grande “caliera” di rame, scelta mirata della quale parleremo dopo, la materia prima sta per essere trasformata in prelibato formaggio.
La concessione alle moderne tecnologie non aliena una gestualità antica che emerge preponderante quando Anna ed Elisa iniziano la lavorazione della ricotta e mi si riscalda il cuore vedere che esiste ancora qualcosa che rifugge l’omologazione, qualcosa che non ha nulla a che fare con il cibo “industriale”, e la mia tesi è confermata dalle parole delle casare che mi spiegano quanto il formaggio, materia viva, subisca gli agenti esterni, ad esempio l’umidità, che ogni cagliata è diversa dall’altra, croce nella fase di lavorazione ma delizia perché è la prova, provata, che la natura ha ancora una grande influenza sul risultato finale di un prodotto che la rappresenta appieno.
Il rame della “caliera”, qui di polivalente non si vuol sentir parlare, oltre a garantire una migliore trasmissione, e diffusione, del calore, influenza l’acidificazione, la maturazione e le reazioni biochimiche durante la caseificazione, a tutto vantaggio delle proprietà organolettiche del formaggio.
Mentre chiacchieriamo amabilmente le mie tre mentori non smettono un attimo di lavorare e dalle loro mani escono caciotte, stracchino, ricottine che poi verranno affumicate, in sintesi, e “caseariamente” parlando, ogni ben di Dio.
Non è pensabile parlare di formaggio senza parlare della materia prima che arriva in caseificio rigorosamente cruda (non pastorizzata ndr) e intera fornita da cinquanta vacche frisone che ogni giorno forniscono un latte di altissima qualità.
È importante il dire che tutto ai Sapori di Montegnago parte proprio dal benessere di coloro che forniscono la materia prima, le frisone, e questo avviene attraverso la Certificazione del Benessere Animale, una prima forma di sostenibilità che ha un senso compiuto anche nella qualità del prodotto finale.
La scelta del latte crudo ed intero ha una ragione specifica: quella di conservare sapore ed aroma, e preservare la vitalità dei fermenti lattici originari che si traducono anche in tipicità e territorialità del latte, un patrimonio proprio di moltissime microzone che non deve assolutamente essere disperso.
Italo Calvino scrisse: “Ogni formaggio aspetta il suo cliente, si atteggia in modo d’attrarlo, con una sostenutezza o granulosità un po’ altezzosa, o al contrario sciogliendosi in un arrendevole abbandono” e quando dal caseificio passiamo nell’accogliente piccolo spaccio, e questo è un invito accorato a visitarlo, “l’arrendevole abbraccio” di calviniana memoria diventa di colpo realtà e mi ritrovo vittima consenziente di Elisa davanti ad una vetrina che è un display di ogni ben di Dio.
La spiegazione è accompagnata dal relativo assaggio e dopo qualche resistenza, di pura circostanza, vista anche la mia struttura diversamente esile, mi lascio rapire dalle spiegazioni partendo da un Cengia, una pasta dura stagionata oltre dieci mesi, che è un po’ la bandiera dei Sapori di Montegnago, premiato all’ultima edizione di Caseus Veneti nella sua categoria, passando per Crò, che ha una certa affinità con il mezzano e viene stagionato sei mesi, il Montegnago aromatizzato con la curcuma fino ad arrivare agli “Affinati”, che, come recita la spiegazione, vengono fatti maturare nel sidro di ciliegie di Villaga o nella birra agricola.
In vetrina, oltre a quanto già citato, fanno bella mostra di sé anche le caciotte, da quelle bianche classiche a quelle aromatizzate con spezie, erbe spontanee e fiori di stagione, le piccole ricottine affumicate destinate ad essere grattugiate, le scamorze affumicate e in un angolo i vasetti di fioretta, quella fioretta che trova, secondo un’antica tradizione dei pastori, la sua destinazione naturale impastata con la farina negli gnocchi con la fioretta ma questa è un’altra storia e la racconterò in separata sede.

 

Giovanni Veronese

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